Subappaltatore e intermediario negli appalti per lo smaltimento di rifiuti (Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 2023, n. 10675)

Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione – Appalto di servizi – Appalto di smaltimento di rifiuti – Subappalto – Intermediario

L’art. 183, comma 1, lett. d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, definisce intermediario qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti.

L’art. 105 del decreto legislativo 1° aprile 2016, n. 50 definisce il subappalto alla stregua di un contratto, con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto ed avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro.

L’art. 119 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 ha mantenuto ferma la definizione del contratto di subappalto, specificando soltanto ciò che, comunque, si desumeva dal sistema costituito dal fatto che il subappaltatore si caratterizza per avere una propria organizzazione con assunzione del rischio imprenditoriale relativamente alla parte dell’appalto che esegue.

In coerenza con quanto previsto per alcuni figure contrattuali nell’ambito del diritto civile, elemento imprescindibile del subappalto è costituito dall’autorizzazione da parte della stazione appaltante.

(Nella fattispecie in esame, inerente un appalto di smaltimento/recupero finale dei rifiuti presso impianti terzi autorizzati, la sezione considera diversi elementi probatori ai fini dell’integrazione di un subappalto)

Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 2023, n. 10675 – Pres. Neri, Est. Lopilato

Produzione di Compost: Il Consiglio di Stato dichiara l’illegittimità delle prescrizioni tecniche introdotte dalla DGRV 568/2005 e del connesso atto di diffida dell’ARPA Veneto

Con Sentenza n. 3870 del 17.05.2022, la sezione IV del Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR Veneto (sezione terza) n. 00782/2015, che aveva accolto le ragioni di una società esercente attività di produzione di compost, la quale contestava la DGR Veneto n. 568/2005 nella parte in cui avrebbe preteso di dettare le caratteristiche sostanziali del rifiuto da trattare definendo le caratteristiche sostanziali che deve assumere la miscela per la produzione dell’ACQ o, comunque, in generale per la produzione del compost.

Sulla scorta di costante giurisprudenza costituzionale, Il Giudice Amministrativo ha preliminarmente ribadito, che “la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale” 

Da tale premessa, ha poi affermato che “la definizione, la composizione, il modo di preparazione e dei componenti essenziali, il titolo minimo in elementi o sostanze utili, e ancora i criteri concernenti la valutazione, i requisiti richiesti, il carico di umidità del rifiuto formano oggetto di regolamentazione statale, in quanto afferente materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma secondo, lett. s), Costituzione; funzione, questa, esercitata dallo Stato ratione temporis con il D.M. 5 febbraio 1998 e, da ultimo, con il D.Lgs n. 75 del 2010 (recante il riordino e la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti , a norma dell’art. 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88), a mezzo dei quali lo Stato ha disciplinato gli “Ammendanti” quanto alle caratteristiche sopra indicate” ed ha conseguentemente confermato la decisione di primo grado.

In argomento, ci sia consentito rinviare al nostro contributo pubblicato sulla RIVISTA RIFIUTI, dal titolo “Compost o Rifiuto ? Fondamento giuridico e applicabilità del cd. IRD”

Pubblicato il 17/05/2022

N. 03870/2022REG.PROV.COLL. N. 01658/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Statoin sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1658 del 2016, proposto dalla Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luisa Londei, Andrea Manzi, Francesco Zanlucchi, Ezio Zanon, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;

contro

la Biocalos S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Anelli, Mauro Ferruzzi, Mario Barioli, con domicilio eletto presso lo studio Lorenzo Anelli in Roma, piazza dell’Orologio, 7;

nei confronti

– della Provincia di Rovigo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Nicola Massafra, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Ecuador 6, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Eliana Varvara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Nicola Massafra in , ;

– della Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Veneto, non costituita in giudizio;

del Comune di Canda, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione terza) n. 00782/2015, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Biocalos S.r.l. e della Provincia di Rovigo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2022 il consigliere Giuseppe Rotondo; viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Con ricorso allibrato al nrg 976 del 2009 (composto da ricorso principale e due ricorsi per motivi aggiunti), la Società Biocalos Srl – titolare e gestore di un impianto di compostaggio sito in Comune di Canda (RO), presso il quale viene svolta l’attività di trattamento di rifiuti organici non pericolosi in regime semplificato – adiva il Tar per il Veneto per ottenere l’annullamento dei

seguenti atti:

1.a. deliberazione della Giunta provinciale di Rovigo n. 20, prot. 4938 del 4 febbraio 2009, recante diniego di approvazione del progetto di adeguamento e di compatibilità ambientale dell’impianto di compostaggio;

1.b. deliberazione della Giunta Provinciale di Rovigo n. 154, prot. n. 26796 del 27 maggio 2009, recante nuovo diniego di approvazione del progetto di adeguamento e di compatibilità ambientale dell’impianto di compostaggio; 1.c. provvedimento prot. GE/2010/38430 del 7 luglio 2010, nella parte in cui il dirigente dell’Area Ambiente della Provincia di Rovigo, diffidava la ricorrente a 4) “…completare la produzione dei lotti utilizzando quantità di sovvalli tali da riportare la percentuale dei medesimi rispetto alla frazione verde entro il limite massimo del 50%, come previsto dalla DGRV n. 568/2005; per quanto riguarda i lotti già prodotti ed in fase di maturazione alla data di ricevimento della presente, a subordinarne l’utilizzo alla preventiva verifica del rispetto dei limiti previsti dalla normativa in materia di fertilizzanti (D.lgs. n. 75 del 29.4.2010)”, nonché del punto 7 lett. c) dell’allegato 1 alla DGRV n. 568/2005.

2. Il giudizio di primo grado s’incentrava, in particolare, sullo scrutinio di legittimità dell’accertamento eseguito da ARPAV che, a seguito di un sopralluogo, rilevava nella gestione del materiale trattato per la realizzazione del compost di qualità la inosservanza dei rapporti ponderali della miscela, così come prescritto al punto 7 lettera c) dell’allegato 1 della DGRV n. 568/2005, in particolare per quanto riguarda le percentuali di sovvalli derivanti dalla vagliatura finale, i quali non possono superare il 50% della frazione verde (e non del totale dei rifiuti conferiti).

2.1. L’ARPAV diffidava, pertanto, la ricorrente (punto 4) a “…completare la produzione dei lotti utilizzando quantità di sovvalli tali da riportare la percentuale dei medesimi rispetto alla frazione verde entro il limite massimo del 50%, come previsto dalla DGRV n. 568/2005; per quanto riguarda i lotti già prodotti ed in fase di maturazione alla data di ricevimento della presente, a subordinarne l’utilizzo alla preventiva verifica del rispetto dei limiti previsti dalla normativa in materia di fertilizzanti (D.lgs. n. 75 del 29.4.2010)”.

2.2. Con la delibera n. 568/2005, la Giunta regionale Veneto aveva, infatti, approvato la direttiva tecnica recante le norme e gli indirizzi operativi per la realizzazione e la conduzione degli impianti di recupero e trattamento delle frazioni organiche dei rifiuti urbani e altre matrici organiche mediante compostaggio, biostabilizzazione e digestione anaerobica.

2.3. Il punto 7 della delibera regionale impugnata riguardava l’ipotesi in cui, nell’ambito del procedimento per la produzione di ACQ (Ammendante Compostato di Qualità), vengano riutilizzati i sovvalli, ossia gli scarti lignocellulosici ottenuti dopo la vagliatura finale del prodotto: in tale caso la presenza di tali sostanze (disponeva la direttiva tecnica regionale) non avrebbe potuto superare il 50% della frazione verde ed avrebbe dovuto essere preventivamente pulita dai residui plastici mediante idoneo trattamento.

2.4. Tale delibera (relativamente al punto 7, lettera c, dell’allegato 1) e la pedissequa diffida (nella parte in cui imponeva la richiamata prescrizione) venivano impugnate con un secondo ordine di motivi aggiunti (sopra, par. 1.c.) per: i) violazione ed omessa applicazione dell’art. 19, D.lgs. 22/97, oggi sostituito dall’art. 195 del D.lgs. 152/2006; dell’art. 1 del DM 5 febbraio 1998 e relativo allegato; ii) violazione ed omessa applicazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione; iii) violazione e falsa applicazione dell’art.4, L.r. Veneto 3/2000; iv) eccesso di potere.

2.5. La ricorrente contestava la prescrizione contenuta al punto 7 della delibera regionale sul presupposto che la stessa avrebbe esorbitato dalle finalità cui la direttiva medesima era rivolta. Tale direttiva, infatti, avrebbe avuto unicamente lo scopo di disciplinare la realizzazione degli impianti di recupero e trattamento delle frazioni organiche dei rifiuti, la conduzione operativa degli impianti e le caratteristiche dei prodotti ottenuti, senza tuttavia poter entrare nell’ambito della definizione delle caratteristiche sostanziali che deve assumere la miscela per la produzione dell’ACQ o, comunque, in generale per la produzione del compost.

2.6. La deliberazione regionale, nonostante emanata in applicazione della legge regionale n. 3 del 2000, recherebbe, pertanto, prescrizioni in violazione del sistema di ripartizione delle competenze, fra Stato e Regioni, in materia di trattamento dei rifiuti e più in generale di tutela ambientale, essendo intervenuta su profili, quali sono le caratteristiche tecniche dei rifiuti da sottoporre a trattamento, che, proprio al fine di rendere omogeneo il livello di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale, risulterebbero riservate all’amministrazione statale.

3. Si costituivano la regione Veneto e la Provincia di Rovigo per resistere al ricorso.

4. Il Tar, con sentenza n. 785/2015:

– dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo e il ricorso recante i primi motivi aggiunti (sopra par. 1.a-1.b), “a seguito dell’avvenuto riconoscimento da parte della Provincia delle pretese avanzate dalla ricorrente”;- superava i dubbi di ammissibilità relativi alla proposizione dei secondi motivi aggiunti (sopra, par. 1.c);

– richiamati i principi affermati nella sentenza Corte Costituzionale n. 58 del 10 aprile 2015, accoglieva il ricorso recante i secondi motivi aggiunti dedotti avverso la delibera regionale e la diffida provinciale che ne aveva dato applicazione, sul presupposto che la Regione, intervenendo a disciplinare la gestione dei rifiuti all’interno degli impianti di trattamento, con le prescrizioni contestate, sarebbe andata “oltre le proprie competenze, incidendo, per finalità di tutela ambientale, sulle caratteristiche stesse del rifiuto da trattare, così incorrendo nei vizi denunciati”.

5. Appella la Regione Veneto, che censura la sentenza per violazione, erronea interpretazione e applicazione dell’art. 19, D.Lgs n. 22 del 1997 nonché degli artt. 195 e 196 del D.Lgs n. 152 del 2006.

5.1. L’Ente regionale sostiene che, nel disciplinare la realizzazione di impianti di trattamento e recupero di rifiuti organici tramite processo di compostaggio, non avrebbe mai esorbitato dalle proprie, specifiche competenze, “non avendo inciso in alcun modo sulle caratteristiche proprie del rifiuto oggetto di trattamento”.

In particolare, l’Ente regionale sostiene quanto segue.

5.2. La divisata deliberazione avrebbe fornito soltanto indicazioni tecniche per la realizzazione e conduzione di impianti di recupero e trattamento delle frazioni organiche dei rifiuti urbani mediante compostaggio, biostabilizzazione e digestione anaerobica, in attuazione di competenze specifiche ed esclusive delle regioni, secondo quanto stabilito dall’art. 196, comma1, lett. d)-e) del D.Lgs n. 152 del 2006.

5.3. Tali prescrizioni sarebbero inerenti al “buon andamento del processo di ACQ (acronimo di Ammendante Compostato di Qualità)”.

5.4. Lo scopo della direttiva tecnica regionale di cui all’allegato 1 della deliberazione regionale n. 586 del 2005 sarebbe, infatti, quello di disciplinare la conduzione operativa degli impianti di recupero e di trattamento (aerobico e anaerobico) delle frazioni organiche dei rifiuti, fornendo le prescrizioni operative necessarie ad attenuare l’impatto ambientale degli impianti, senza prevaricare in alcun modo le competenze statali in materia.

5.5. La Regione, pertanto, avrebbe esercitato i poteri di regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, secondo quanto stabilito nell’art. 19, comma 1, D.Lgs n. 22 del 1997 (ratione temporis vigente).

5.6. Segnatamente, l’art. 18, comma 2, lett. a), del D.lgs n. 22 del 1997 devolveva allo Stato la competenza circa l’adozione delle norme tecniche per la gestione dei rifiuti; l’art. 19, riservava, invece, alle Regioni la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti. Tale riparto di competenze è stato, poi, mantenuto anche dal successivo D.Lgs n. 152 del 2006 (artt. 195, comma 2, lett. a) e 196, comma 1).

5.7. La normativa nazionale nulla direbbe riguardo ai controlli di processo necessari per prevenire impatti ambientali, in questo caso soprattutto di tipo odorigeno.

5.8. La valutazione delle migliori tecniche disponibili sarebbe argomento fondante la fase istruttoria per il rilascio del titolo autorizzativo, questo contenente le prescrizioni gestionali ritenute necessarie per garantire un corretto andamento del processo di trattamento dei rifiuti; le modalità di costituzione della miscela rappresenterebbero, quindi, una parte fondamentale per consentire il corretto svolgimento del processo di compostaggio, le cui prescrizioni avrebbero la finalità di garantire il rispetto dei criteri stabiliti dallo Stato, fornendo modalità omogenee sul territorio regionale per l’autorizzazione e il controllo degli impianti di trattamento dei rifiuti organici. 6. Si sono costituiti la Società Biocalos s.r.l. e la Provincia di Rovigo, quest’ultima per censurare la statuizione di condanna alle spese disposta dal Tar nei suoi confronti, ritenuta ingiusta perché “non poteva, né spettava ad essa, sindacare sulla competenza o meno della Regione Veneto nell’emanazione della Delibera oggetto d’impugnazione, ma doveva solamente applicarla”, a fronte di attività vincolata; il proprio atto, infatti, “è stato parzialmente annullato per illegittimità derivata dall’avvenuta dichiarazione di illegittimità per incompetenza della DGRV”.

7. Con ordinanza presidenziale n. 108/2021, sono stati disposti incombenti istruttori per acquisire la manifestazione di interesse alla definizione del giudizio.

8. Regione Veneto e Biocalos srl hanno confermato la persistenza dell’interesse.

9. Le parti hanno depositato memorie in date 18 marzo 2022 (Provincia Rovigo e Biocalos srl) e 21 marzo 2022 (Regione Veneto).

10. All’udienza del 21 aprile 2022, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

11. La questione controversa concerne l’inquadramento del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di gestione dei rifiuti e non può prescindere dall’esatta qualificazione delle prescrizioni tecniche impartite con

la direttiva regionale oggetto di impugnativa.

11.1. La Società appellata sostiene che la direttiva n. 568/2005 avrebbe preteso di dettare le caratteristiche sostanziali del rifiuto da trattare, in tal modo invadendo la competenza esclusiva dello Stato.

11.2. La Regione appellante, viceversa, deduce che la suddetta direttiva sarebbe stata emanata in attuazione delle proprie competenze relative alla gestione degli impianti di rifiuti, senza incidere in alcun modo sulle caratteristiche proprie dei rifiuti oggetto di trattamento e, quindi, sulla materia ambientale.

12. L’appello è infondato.

12.1. Come correttamente evidenziato dal Tar, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale (da ultimo, sentenza 11 marzo 2015, n. 58), la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali.

12.2. La Corte, al fine di trovare una composizione a tale interferenza, ha richiamato costantemente il principio di prevalenza utilizzato quando appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre, ovvero quando l’azione unitaria dello Stato risulti giustificata dalla necessità di garantire livelli adeguati e non riducibili di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale.

12.3. Il richiamo al principio di prevalenza vuole, appunto, risolvere l’inevitabile interferenza che può generarsi tra titoli di competenza formalmente attribuiti allo Stato (tutela dell’ambiente) e titoli assegnati in via concorrente alle Regioni (tutela della salute, governo del territorio).

12.4. La tutela dell’ambiente è materia di esclusiva competenza statale, ex art. 117, comma secondo, lett. S), Costituzione.

12.5. La disciplina dei rifiuti, quanto alle caratteristiche proprie che lo compongono e lo definiscono, rientra nella citata materia poiché la definizione delle caratteristiche proprie dei rifiuti impinge, in modo prevalente, sulla capacità di incidenza e di impatto che i rifiuti hanno sull’habitat naturale e civile.

12.6. Per esse, quindi, necessita una normazione generale, valevole sull’intero territorio nazionale, non potendo l’ordinamento tollerare che le caratteristiche intrinseche di un rifiuto, ai fini del suo trattamento, possano essere diversificate a seconda della diversa convenienza, opportunità o percezione avvertita dai singoli enti territoriali.

13. La Regione Veneto ritiene, invero, che le divisate prescrizioni (punto 7, lett. C, allegato 1) si sarebbero limitate a dettare criteri omogenei di autorizzazione e controllo degli impianti valevoli sull’intero territorio regionale.

14. L’assunto non è condiviso dal Collegio.

14.1. La Regione ha operato nel dichiarato scopo di prevenire impatti ambientali (id est, di tipo odorigeno).

A tal fine, essa ha introdotto specifici limiti per l’ulteriore lavorazione dei sovvalli, ribadendo di farlo al fine di non creare un prodotto pregiudizievole per l’ambiente.

L’Ente regionale è, in questo modo, intervenuto non già sull’autorizzazione ovvero sulle modalità di rilascio del titolo e sull’esercizio dell’impianto, bensì sulla conformazione delle caratteristiche del prodotto, modificandone, nell’ambito del perimetro territoriale di riferimento, la composizione rilevante ai fini del trattamento e dello scarto.

Così facendo, tuttavia, la Regione ha finito per incidere su profili che spettano all’autorità statale, essendo a questa devoluto il compito di fissare le caratteristiche dei rifiuti da trattare e lavorare all’interno degli impianti.

14.2. Tanto si evince per tabulas laddove la direttiva tecnica ha reso “necessario che la miscela a inizio processo presenti le seguenti caratteristiche: a) umidità iniziale indicativamente compresa tra 50% e 65%; b) C/N indicativamente compreso tra 20 e 30; c) frazione verde o residui lignocellulosici, come definiti al punto 3.10, non inferiori al 30% (…); nel caso di utilizzo sovvalli, cioè degli scarti lignocellulosi ottenuti dopo la vagliatura finale del prodotto, questi non possono superare il 50% della frazione verde e devono essere preventivamente puliti dai residui plastici mediante idoneo trattamento”.

14.3. La circostanza trova conferma nella parte motiva della deliberazione n. 568/2005, laddove si precisa che la direttiva ha inteso dettare “le prescrizioni operative necessarie ad attenuare l’impatto ambientale degli impianti” (…) “al solo fine di provvedere ad una maggior cura di interessi funzionalmente collegati con quelli ambientali”. 

14.4. Sennonché, la definizione, la composizione, il modo di preparazione e dei componenti essenziali, il titolo minimo in elementi o sostanze utili, e ancora i criteri concernenti la valutazione, i requisiti richiesti, il carico di umidità del rifiuto formano oggetto di regolamentazione statale, in quanto afferente materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma secondo, lett. s), Costituzione; funzione, questa, esercitata dallo Stato ratione temporis con il D.M. 5 febbraio 1998 e, da ultimo, con il D.Lgs n. 75 del 2010 (recante il riordino e la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti , a norma dell’art. 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88), a mezzo dei quali lo Stato ha disciplinato gli “Ammendanti” quanto alle caratteristiche sopra indicate.

15. La direttiva regionale viola, dunque, il regime delle competenze fissato a livello costituzionale, laddove introduce a livello territoriale, nel pur dichiarato intento di disciplinare l’esercizio dell’impianto, prescrizioni che, in realtà, caratterizzano il rifiuto in distonia con l’esigenza di una superiore e omogenea regolamentazione di livello nazionale, spettante allo Stato ex art. 117 Cost., in quanto afferente ad una materia di propria, esclusiva competenza; prescrizioni che attengono, invero, non già al “come” gestire l’impianto (di competenza regionale), bensì a “cosa” utilizzare nell’impianto medesimo (prerogativa statale); con ciò, violando l’art. 18 del D.Lgs n. 22 del 1997 (ratione temporis vigente) nonché il D.M. 5 febbraio 1998.

16. In conclusione, per quanto sin qui argomentato, l’appello proposto dalla Regione Veneto è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

17. Va respinta, infine, la domanda formulata dalla Provincia di Rovigo di riforma della sentenza appellata nella parte relativa alla statuizione di condanna alle spese del giudizio dell’Ente provinciale. Tale domanda, infatti, è stata presentata con memoria di costituzione non notificata a controparti.

18. Le spese di giudizio si liquidano così come in dispositivo, in misura corrispondente al minimo previsto dai parametri del D.M. 8 marzo 2018, n. 37, per una causa di valore indeterminabile e di media difficoltà.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la Regione Veneto al pagamento delle spese processuali che si liquidano, in favore della Società Biocalos s.r.l., in complessivi euro 10,000,00 (diecimila/00) oltre accessori di legge, spese generali e C.U. se dovuto.

Spese compensate nei confronti della Provincia di Rovigo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2022 con l’intervento dei magistrati:

Luca Lamberti, Presidente FF

Francesco Gambato Spisani, Consigliere Alessandro Verrico, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore Michele Conforti, Consigliere

L’ESTENSORE Giuseppe Rotondo

IL PRESIDENTE Luca Lamberti

IL SEGRETARIO

L’ambiente entra nella Costituzione

Nella seduta dell’8 febbraio 2022 la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva, in seconda deliberazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, la proposta di legge costituzionale A.C. 3156-B recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente”. Votazione: 468 voti favorevoli, 1 contrario e 6 astenuti.

La modifica costituzionale inserisce nella Carta costituzionale un espresso riferimento alla tutela dell’ambiente e degli animali, recando modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione.

In particolare, integrando l’articolo 9 della Costituzione, il disegno di legge in esame introduce tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Stabilisce, altresì, che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

Modifica, inoltre, l’articolo 41 della Costituzione, prevedendo che l’iniziativa economica non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini ambientali.

Infine, il disegno di legge reca una clausola di salvaguardia delle competenze legislative riconosciute alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti.

Ecco come cambiano i due articoli della Costituzione (In maiuscolo le novità).

 Articolo 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. TUTELA L’AMBIENTE, LA BIODIVERSITÀ E GLI ECOSISTEMI, ANCHE NELL’INTERESSE DELLE FUTURE GENERAZIONI. LA LEGGE DELLO STATO DISCIPLINA I MODI E LE FORME DI TUTELA DEGLI ANIMALI». 

Articolo 41: « L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, ALLA SALUTE, ALL’AMBIENTE. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali E AMBIENTALI».

Messa in Sicurezza Permanente – la risposta del MITE all’interpello posto dalla Provincia di Verona

Il MiTE interviene in merito alle condizioni di ammissibilità dell’istituto della Messa in Sicurezza Permanente (MISP), in risposta ad un interpello posto dalla Provincia di Verona. 
I quesiti posti riguardano:

1)  Quali possano essere i riferimenti tecnici ed oggettivi per la valutazione della non sostenibilità economica delle possibili tecnologie di bonifica applicabili, che dovrebbero essere privilegiate rispetto alla MISP;

2)  Se i progetti di MISP possano essere approvati ed attuati anche laddove prevedano unicamente l’interruzione dei percorsi di esposizione attivi individuati a seguito della caratterizzazione e/o dell’analisi di rischio sito-specifica ed associati a rischio non accettabile, in modo da impedire la migrazione all’esterno dei contaminanti, oppure sia necessario addivenire al completo marginamento del sito, su tutti i lati della matrice compromessa;

3)  Se gli interventi di interruzione dei soli percorsi di esposizione, se non qualificabili come MISP, possano essere inquadrati a livello amministrativo e in quale tipologia del Titolo V della Parte Quarta del D.lgs. 3 aprile 2006 n.152;

4)  La compatibilità di una MISP con la previsione di futuri interventi di diversa natura, atti a manomettere, anche solo parzialmente o temporaneamente, le opere realizzate.

Nel ribadire che il ruolo della MISP si configura come un intervento di “extrema ratio”, il MiTE precisa che la MISP:

a) può essere selezionata, in conclusione di un accurato processo di valutazione delle diverse opzioni di ripristino applicabili, solo qualora le tecniche di bonifica dovessero risultare meno efficaci, non sostenibili economicamente ovvero non compatibili con la prosecuzione delle attività produttive già in esercizio sul sito, con la dovuta specificazione che l’analisi costi- benefici non può essere parametrata sulla base delle disponibilità economiche del soggetto obbligato, ma deve essere ancorata alla oggettiva impossibilità, da valutare caso per caso, a seguito di idonea istruttoria tecnica, di addivenire alla bonifica della matrice contaminata;

b) deve garantire l’isolamento (letteralmente traducibile nella completa separazione sia orizzontale che verticale) della/e matrice/i ambientale/i contaminata/e (suolo, sottosuolo, materiali di riporto, acque sotterranee) dalle matrici limitrofe. Tale isolamento deve essere definitivo (quindi non temporaneo/provvisorio ma conclusivo e persistente nel tempo) ed idoneo a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza (in altri termini la massima protezione) per le persone e per l’ambiente.

c) per addivenire all’“isolamento” delle matrici contaminate, il progetto di MISP deve prevedere l’interruzione dei soli percorsi di esposizione attivi individuati nell’analisi di rischio sito-specifica ed associati a rischio non accettabile, in modo da impedire la migrazione dei contaminanti all’esterno dell’area oggetto d’intervento, prevedendo il completo marginamento su tutti i lati della matrice compromessa, con la precisazione che tale isolamento può anche essere costituito da elementi naturali.

d) conferma integralmente l’assunto secondo cui l’analisi di rischio debba essere eseguita rispetto alla situazione attuale, restando tuttavia necessario prevedere una valutazione di rischio integrativa in caso di mutamento della destinazione e/o di utilizzo del sito.

e) rappresenta che i progetti di MISP che si basino su valutazioni di non trasportabilità della contaminazione o di altra natura, e che prevedano una separazione tra matrici incompleta, non idonea a garantire l’isolamento effettivo della/e matrice/i interessata/e, da attuarsi in aree ad accesso indiscriminato e destinate ad utilizzi diversificati, comprese attività ricreative e lavorative, non possano ritenersi ammissibili.

f) in caso di manomissione anche parziale degli interventi di MISP realizzati, è necessario provvedere ad una nuova valutazione del rischio, finalizzata a verificare se vi sia necessità di effettuare ulteriori opere, alternativamente di MISP o bonifica.

Nota MiTE, n. 3866 del 14.01.2022 ed Interpello della Provincia di Verona

Linee Guida SNPA per l’applicazione della Procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali, ex parte VI-bis D.Lgs. 152/2006 – Aggiornamento 2021

Pubblicate sul sito del SNPA l’aggiornamento del documento “Indirizzi per l’applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali ex Parte VI-bis D.Lgs. 152/2006”  elaborato all’indomani dell’entrata in vigore della Legge 22 maggio 2015 n. 68 ed approvato con Delibera del Consiglio Federale n. 82 del 29/11/16.

La Linea guida contiene un’organica illustrazione dei vari aspetti della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali alla luce dei principali indirizzi ed orientamenti applicativi emersi a livello nazionale e dell’esperienza applicativa maturata dalle componenti del SNPA.

Il testo contiene:

– criteri guida generali per la valutazione degli effetti e dell’entità delle conseguenze ambientali dei reati

– l’elenco delle prescrizioni tipo per l’estinzione delle principali contravvenzioni ambientali;

– l’elenco dei documenti analizzati dal gruppo di lavoro, raccolti su segnalazione delle componenti del SNPA e consultabili all’indirizzo Banca Dati Ecoreati — ARPAT – Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana.  

LINEE GUIDA SNPA – PROCEDURA DI ESTINZIONE DELLE CONTRAVVENZIONI AMBIENTALI – AGGIORNAMENTO 2021

Consiglio di Stato sent. n. 05768 del 5 agosto 2021, in materia di bonifica, “materiali di riporto” ed obbligatorietà del test di cessione.

Pubblichiamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 05768 del 5 agosto 2021, in materia di “materiali di riporto” ed obbligatorietà del test di cessione, che ha visto la partecipazione del Comune di Rosignano, difeso da questo Studio legale, nella qualità di appellato in un giudizio promosso da Solvay Chimica S.p.A. nell’ambito di un procedimento di bonifica.

Con il ricorso introduttivo presentato innanzi al TAR, la Società ricorrente aveva impugnato il provvedimento con il quale il Comune di Rosignano Marittimo, all’esito di apposita conferenza di servizi, aveva approvato il Piano di Caratterizzazione dell’area denominata “Unità Idrogeologica Funzionale 5” predisposto dalla medesima società, limitatamente ad una delle prescrizioni impostele, ovvero quella che richiedeva che i “materiali di riporto” rinvenuti presso il sito venissero sottoposti al cd. “test di cessione” ai sensi dell’art. 3 del decreto-legge n. 2 del 2012 (convertito in legge n. 28 del 2012).

La ricorrente contestava la legittimità di tale prescrizione, osservando che ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 3 del decreto legge n. 2 del 2012, il cd. “test di cessione”, necessario per l’assimilazione delle “matrici materiali di riporto” al “suolo”, non sarebbe invece imposto in termini generalizzati per tutti i materiali di riporto; al contrario i suddetti test sarebbero previsti “al solo fine di verificare l’applicabilità ad essi [cioè ai materiali di riporto] dell’art. 185 del Codice dell’ambiente e, quindi, la possibilità che gli stessi siano esclusi dall’ambito di applicazione della Parte Quarta del Codice (e, quindi, esclusi dalla disciplina delle bonifiche)”

Secondo la società, il suddetto obbligo non si applicherebbe mai ai materiali di riporto che ricadono in un sito che è già oggi oggetto di procedura di bonifica, in quanto lo scopo del test di cessione sarebbe quello di stabilire se i predetti materiali sono da considerarsi o meno come “suolo” e dunque esclusi o meno dal campo di applicazione della disciplina in materia rifiuti (e, di conseguenza, dal regime delle bonifica desi siti contaminati) di cui alla Parte IV del c.d. Codice dell’ambiente. 

Il Consiglio di Stato, accogliendo la tesi della difesa, ha sancito che “la tesi della appellante, per cui il test di cessione non avrebbe significato per i materiali presenti in un sito già sottoposto per altre ragioni a bonifica non è sostenibile. Essa infatti presuppone che si sia già dimostrato quanto deve esserlo, ovvero che la matrice di riporto presente nel sito stesso si possa trattare come matrice suolo naturale, e non come rifiuto nella sua interezza”.

Di seguito, la sentenza del Consiglio di Stato ed altra documentazione rilevante.

Consiglio di Stato n. 05768/2021

Tar Toscana 996/2020

Tar Lazio n. 526/2020

Circolare MATTM n. 15786 del 10.11.2017

Circolare MATTM n. 13338 del 14.05.2014

Compost: MPS o Rifiuto ? quale rilevanza assume l’Indice respirometrico Dinamico (cd. I.R.D) (prima parte).

Nel numero 286, agosto-settembre, della “Rivista Rifiuti” si è approfondito il tema della produzione di compost da rifiuti organici, focalizzando l’attenzione sul cd. Indice Respirometrico Dinamico (I.R.D.) o, meglio, sulla sua rilevanza giuridica al fine di comprovare la qualifica del compost quale prodotto, non più rifiuto.

Spesso, infatti, tra le prescrizioni autorizzative vincolanti per i gestori o, comunque nel corso di attività ispettive e di controllo, al fine di verificare la qualità del compost, e poterne determinare la natura di Materia Prima Secondaria (cd. Mps) od ancora di rifiuto, si ricorre all’Indice Respirometrico Dinamico (c.d I.R.D.).

Più che gli aspetti di natura tecnico-scientifica – che certamente non compete al giurista esaminare – ciò che interessa ricercare è il fondamento normativo di tale parametro al fine di determinarne gli effetti che ne derivano sul piano giuridico.
La trattazione è suddivisa in due parti. Nella prima, si è proceduto ad una ricognizione delle fonti normative che regolamentano l’I.R.D., soffermandosi su alcuni casi applicativi.
Nella seconda parte, che seguirà nel prossimo numero della Rivista, ci si soffermerà invece su profili di diritto comunitario, che incidono sulla materia, nonché sul tema della inopponibilità delle regole tecniche non notificate alle Istituzioni Comunitarie, per rappresentare infine, nelle conclusioni, il quadro d’insieme e le carenze dell’attuale sistema normativo.

Vai all’articolo: https://rivistarifiuti.reteambiente.it/articolo/1740/Compost-o-rifiuto-Fondamento-giuridico-e-applicabilitA-del-cd-I-R-D-AParteAIa

Codice CER 19.12.12, rifiuti da trattamento meccanico e spedizione di rifiuti – Il Consiglio di Stato rimette la questione alla Corte di Giustizia UE.

Con Ordinanza del 1° luglio 2020, n. 4196, il Consiglio di Stato (sez. IV) ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione relativa al rapporto tra il Catalogo Europeo Rifiuti (CER 19.12.12, rifiuti prodotti da impianti di trattamento meccanico per operazioni di recupero R1/R2) e le relative classificazioni e la disciplina relativa alla spedizione di rifiuti.

In particolare, il Giudice Amministrativo chiede se, con riferimento alle spedizioni di rifiuti risultanti dal trattamento di rifiuti urbani indifferenziati, le previsioni dell’art. 16 della direttiva 2008/98/CE, espressamente concernenti la spedizione di rifiuti, siano o meno prevalenti rispetto alla classificazione risultante dal Catalogo Europeo Rifiuti, precisando, qualora ritenuto opportuno e utile dalla Corte, se il suddetto catalogo abbia carattere normativo o costituisca invece una mera certificazione tecnica idonea alla omogenea tracciabilità di tutti i rifiuti.

Questi, in sintesi, i quesiti:

Deve essere rimesse alla Corte di Giustizia la seguente questione se:
– il Catalogo Europeo Rifiuti (nella fattispecie CER 19.12.12., rifiuti prodotti da impianti di rattamento meccanico per operazioni di recupero R1/R12) e le relative classificazioni interferiscano o meno ed, in caso di risposta positiva, in quali termini e confini, con la disciplina euro-unitaria relativa alla spedizione di rifiuti che, prima del trattamento meccanico, erano rifiuti urbani indifferenziati;

– in particolare, se, con riferimento alle spedizioni di rifiuti risultanti dal trattamento di rifiuti urbani indifferenziati, le previsioni dell’art. 16 della direttiva 2008/98/CE ed il relativo considerando n. 33, espressamente concernenti la spedizione di rifiuti, siano o meno prevalenti rispetto alla classificazione risultante dal Catalogo Europeo Rifiuti;

– precisando, qualora ritenuto opportuno e utile dalla Corte, se il suddetto Catalogo abbia carattere normativo o costituisca, invece, una mera certificazione tecnica idonea alla omogenea tracciabilità di tutti i rifiuti.”

Il testo dell’ordinanza è consultabile quì

La Corte di Giustizia Europea si pronuncia sull’obbligo di garantire la gestione successiva alla chiusura delle discariche già in esercizio al momento dell’entrata in vigore della “direttiva discariche” (Dir. 1999/31/)

Con la sentenza del 14 maggio 2020 (causa C-15/19, la Corte di Giustizia si pronunciata su alcune questioni pregiudiziali sollevate dal Giudice Italiano in una causa che vedeva coinvolta l’AMA S.p.A. di Roma, quale Concessionaria dell’attività di raccolta, trasporto, trattamento, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani nel territorio di Roma ed il Consorzio Co.La.Ri. (Gestore della discarica di Malagrotta, in cui avveniva lo smaltimento dei rifiuti urbani).

Con l’entsata in vigore della dir. 1999/31/, il periodo di gestione successiva alla chiusura della discarica di Malagrotta veniva prorogato a 30 anni, in luogo dei 10 anni inizialmente previsti dal suddetto contratto.

 Con lodo arbitrale, l’A.M.A. veniva condannata a versare al Co.La.Ri. l’importo di EUR 76.391.533,29 a titolo di rimborso dei maggiori oneri connessi all’obbligo, gravante su quest’ultimo, di assicurare la gestione della discarica per un periodo di almeno 30 anni. L’A.M.A. impugnava tale lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma, la quale lo confermava considerando che le disposizioni della direttiva 1999/31 fossero applicabili a tutte le discariche già in esercizio al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 36/2003. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma l’A.M. A. ha proposto ricorso per cassazione Da quì le questioni pregiudiziali poste alla Corte di Giustizia.

In particolare, il giudice del rinvio ha espresso dubbi in merito alla conformità al diritto dell’Unione delle conclusioni tratte dalla Corte d’appello di Roma riguardo all’applicazione di disposizioni della direttiva 1999/31, come quelle relative ai costi di gestione, a una discarica preesistente come quella di Malagrotta. Ad avviso dell’A.M.A., il decreto legislativo n. 36/2003 non farebbe altro che prevedere un periodo transitorio per le discariche preesistenti, verosimilmente per la messa in conformità delle discariche, ma non menzionerebbe alcun onere finanziario connesso alla gestione delle stesse dopo la loro eventuale chiusura.

 Il medesimo giudice del rinvio si interrogava, in proposito, sulla compatibilità dell’obbligo del detentore di sostenere gli oneri connessi alla gestione successiva alla chiusura della discarica, in violazione degli accordi contrattuali intervenuti tra il detentore e il gestore, che fissavano la durata della gestione solo in 10 anni, e non in 30 anni, includendo nel contempo i costi connessi ai rifiuti immagazzinati prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 36/2003.

Di seguito, i punti salienti della decisione della Corte di Giustizia

Punto 45: “…conformemente agli articoli 10, 13 e 14 della direttiva 1999/31, il gestore di una discarica in funzione al momento del recepimento di tale direttiva deve essere tenuto a garantire, per almeno 30 anni, la gestione successiva alla chiusura della discarica”.

Punto 49: “si deve considerare che l’obbligo di assicurare la gestione successiva alla chiusura di una discarica per un periodo di almeno 30 anni, quale previsto all’articolo 10 della direttiva 1999/31, si applica a prescindere dal momento in cui i rifiuti sono stati destinati alla discarica. Tale obbligo riguarda quindi, in linea di principio, la discarica di cui trattasi nel suo insieme.”

Punto 58:  “Orbene, come rilevato ai punti 34 e 35 della presente sentenza, la fissazione del periodo di gestione successiva alla chiusura di una discarica ad almeno 30 anni, prevista all’articolo 10 della direttiva 1999/31, non concerne le discariche chiuse prima della data di recepimento di detta direttiva. Essa non riguarda, quindi, le situazioni giuridiche sorte e definitivamente acquisite anteriormente a tale data e, pertanto, non ha efficacia retroattiva.

Punto 61: “ Per definire i costi di gestione successiva alla chiusura di una discarica a un livello che consenta di rispondere in modo efficace e proporzionato all’obiettivo contemplato all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 1999/31, vale a dire limitare i rischi per l’ambiente che una discarica può rappresentare, una tale valutazione deve tenere conto anche dei costi già sostenuti dal detentore e dei costi stimati per i servizi che saranno prestati dal gestore“.

Punto 62: “Il livello di tale importo deve inoltre essere fissato in modo da coprire esclusivamente l’aumento dei costi di gestione connesso alla proroga di 20 anni del periodo di gestione successiva alla chiusura della discarica, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare”.

La Corte conclude dunque affermando che Gli articoli 10 e 14 della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, devono essere interpretati nel senso che non ostano all’interpretazione di una disposizione nazionale secondo la quale una discarica in funzione alla data di recepimento di detta direttiva deve essere assoggettata agli obblighi derivanti da quest’ultima, segnatamente a una proroga del periodo di gestione successiva alla chiusura, senza che occorra distinguere in base alla data in cui i rifiuti sono stati abbancati né prevedere alcuna misura intesa a contenere l’impatto finanziario di tale proroga sul detentore dei rifiuti”.

Corte di Giustizia Europea, (seconda sezione) sentenza del 14 maggio 2010 (causa C-15/19)

La gestione dei rifiuti urbani ai tempi del Coronavirus (Covid-19)

Pubblichiamo alcuni documenti relativi alla gestione dei rifiuti urbani connessi all’emergenza sanitaria da virus “Covid-19″

UE 14 aprile 2020: Linee Guida della Commissione Europea sulle modalità di gestione dei rifiuti a seguito dell’emergenza coronavirus. 

ISS 3 aprile 2020: Indicazioni ad interim sulla gestione dei fanghi di depurazione per la prevenzione della diffusione del virus SARS-CoV-2

Gruppo di lavoro ISS Ambiente e Gestione dei Rifiuti vers. 31 marzo 2020 Indicazioni at interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da Virus SARS-COV-2

ISS 13 marzo 2020 – Guida pratica per eliminare i rifiuti in questo periodo di emergenza sanitaria che richiede nuove regole soprattutto per chi è in isolamento domiciliare poiché risultato positivo al coronavirus.

Gruppo di lavoro ISS 14 marzo 2020 Indicazioni at interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da Virus SARS-COV-2

Proroga MUD – Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia) Art. 113 (Rinvio di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti)

1.Sono prorogati al 30 giugno 2020 i seguenti termini di: a) presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) di cui all’articolo 6, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70; b) presentazione della comunicazione annuale dei dati relativi alle pile e accumulatori immessi sul mercato nazionale nell’anno precedente, di cui all’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, nonche’ trasmissione dei dati relativi alla raccolta ed al riciclaggio dei rifiuti di pile ed accumulatori portatili, industriali e per veicoli ai sensi dell’articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188; c) presentazione al Centro di Coordinamento della comunicazione di cui all’articolo 33, comma 2, del decreto legislativo n. 14 marzo 2014, n. 49; d) versamento del diritto annuale di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali di cui all’articolo 24, comma 4, del decreto 3 giugno 2014, n. 120.

SNPA 18 marzo 2020 Indicazioni Tecniche relativamente agli aspetti ambientali della pulizia degli ambienti esterni e dell’utilizzo di disinfettanti nel quadro dell’emergenza CoViD-19 e sue evoluzioni

SNPA – 23 MARZO 2020 – Prime indicazioni per la gestione dei rifiuti – Emergenza CoViD-19

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 30 marzo 2020 Circolare con le Indicazioni sulle criticità nella gestione dei rifiuti per effetto dell’emergenza Covid-19

Regione Lazio – Ordinanza Z00015 “Ulteriori misure urgenti per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID -19. Ordinanza ai sensi dell’articolo 191 del D.Lgs. 152/2006. Disposizioni in materia di raccolta e gestione dei rifiuti urbani” 

Regione Sicilia – Ordinanza del Presidente della Regione Siciliana n 1/Rif del 27 marzo 2020 Allegato (pareri)

Regione Toscana – Ordinanze

Regione Liguria –  Ordinanza 1/2020 – Misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19

Regione Abruzzo –  Ordinanza n. 13 del 22.03.2020 Disposizioni tecnicogestionali per il sistema dei rifiuti urbani

Regione Calabria – Ordinanza 21 marzo 2020, n. 14 Urgenti misure per assicurare la corretta gestione dei rifiuti urbani correlate alla prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19

Regione Marche – Ordinanza 21 marzo 2020, n. 13 in materia di gestione, raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani.

Regione Umbria – Ordinanza 30 marzo 2020, n. 13 – Ulteriori misure per la gestione dell’Emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 191 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 in materia di gestione dei rifiuti urbani provenienti da abitazioni di pazienti positivi al SARS-Cov-2 in isolamento o in quarantena obbligatoria nonché per la gestione di impianti per il trattamento della frazione organica

EoW: in Gazzetta Ufficiale il Regolamento che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 246 del 20-10-2022 è stato pubblicato il Regolamento che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale, ai sensi dell’articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Il Decreto entrerà in vigore il 4 novembre 2022 e si compone di 8 articoli e 3 allegati, recanti rispettivamente: 1) I rifiuti ammissibili; 2) Utilizzi specifici; 3) La dichiarazione di conformità (DDC)

Decreto MITE 27 settembre 2022, n. 152

Bonifica: il proprietario non responsabile della contaminazione è tenuto alla bonifica solidalmente con il responsabile se, dopo esserne venuto a conoscenza, non denuncia il fatto alle Autorità.

Consiglio di Stato 16 giugno 2022, n. 4923

In tema di inquinamento, il proprietario del terreno risponde della bonifica effettuata sul suolo di sua proprietà – nel senso che anch’egli è tenuto ad effettuarla – solidalmente con colui che ha concretamente determinato il danno, pur se affittuario, a titolo di dolo, qualora abbia celato i rifiuti, o di colpa, nell’ipotesi in cui non abbia approntato l’adozione delle cautele volte a custodire adeguatamente la proprietà, ovvero non denunciando, dopo esserne venuto a conoscenza, il fatto alle autorità (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 2021, n. 780). ). In definitiva, per la posizione di garanzia rivestita dal proprietario, è configurabile, anche a titolo di concorso, un illecito omissivo per violazione del dovere di impedire fatti idonei a ledere il bene protetto.

Pubblicato il 16/06/2022

N. 04923/2022REG.PROV.COLL.

N. 07355/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7355 del 2016, proposto dalle signore -OMISSIS- e -OMISSIS-, nella qualità di eredi del signor -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati Guido Francesco Romanelli e Marco Tonellotto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Guido Francesco Romanelli in Roma, via Cosseria, n. 5; 

contro

la Provincia di Verona, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Riccardo Ruffo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Verona, via Luigi Da Porto, n. 4; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Verona;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2022 il consigliere Alessandro Verrico;

Vista l’istanza congiunta di passaggio in decisione della causa del 19 maggio 2022;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per il veneto (r.g. n. -OMISSIS-), il Sig. -OMISSIS- impugnava la determinazione della Provincia di Verona n. 4442/09 del 10 agosto 2009, recante la diffida a: 1) provvedere alla bonifica e al ripristino ambientale del terreno denominato “vigneto -OMISSIS-”, limitrofo alla discarica per rifiuti non pericolosi urbani sita in loc. “-OMISSIS- del Comune di -OMISSIS-” e 2) “a presentare al Comune di -OMISSIS-, alla Provincia di Verona, all’Arpav, alla Regione Veneto e all’ULSS 22 entro 30 giorni dalla data di ricevimento del presente provvedimento apposito piano di caratterizzazione del sito”.

2. Il T.a.r., con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso e ha compensato le spese di giudizio tra le parti. Il Tribunale, in particolare, dopo aver ritenuto di poter prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari in ragione della manifesta infondatezza del ricorso nel merito:

a) ha ritenuto che i precedenti piani di caratterizzazione avevano un oggetto differente da quello in esame;

b) ha rilevato che le indagini svolte dall’ARPA non costituiscono un procedimento amministrativo a sé stante, essendo espressione di un potere di vigilanza del Comune, e che, ad ogni modo, è stata garantita la partecipazione del ricorrente;

c) una volta accertato l’inquinamento della falda freatica l’Amministrazione non poteva non adottare le azioni di cui all’art. 242 d.lgs. n. 152/2006;

d) non è carente la legittimazione passiva del Sig. -OMISSIS-, alla luce dei principi della costante giurisprudenza e del ruolo di gestore e possessore del terreno svolto dallo stesso, senza mai opporsi allo sversamento dei rifiuti;

f) le dichiarazioni rese dal Sindaco come persona informata dei fatti, così come la presentazione dell’istanza di autorizzazione della discarica di cui si tratta non sono sufficienti a dimostrare che l’inquinamento sia imputabile esclusivamente al Comune.

3. L’originario ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha impugnato i soli paragrafi dal 2.1 al 2.5 della pronuncia e quindi ha contestato il solo profilo della carenza di legittimazione passiva del ricorrente, sostenendo le censure riassumibili nei seguenti termini:

I) il primo giudice non avrebbe tenuto conto degli elementi oggettivi emersi in ordine alla riferibilità dell’evento contaminante alla condotta del Comune di -OMISSIS- (quale gestore della discarica di “-OMISSIS-”), tra i quali la dichiarazione resa dall’ex Sindaco -OMISSIS-, la dichiarazione resa dall’ex consigliere comunale -OMISSIS-, l’istanza presentata dal Comune stesso alla Regione Veneto in data 28 gennaio 1983 e la determinazione provinciale n. 4442/2009, nella parte in cui individua i contaminanti della falda;

II) l’orientamento giurisprudenziale richiamato ed applicato alla fattispecie dal primo giudice presuppone l’esistenza di un’adeguata istruttoria pubblica, che, nel caso di specie, sarebbe del tutto assente, con la conseguente inconfigurabilità di una responsabilità del proprietario di carattere oggettivo, soprattutto in presenza di una discarica comunale che risultava pienamente legittima.

Infine, l’appellante si è difeso in relazione all’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata in primo grado dalla Provincia, motivata dalla mancata notifica ai controinteressati ARPAV e Comune di -OMISSIS-.

3.1. In seguito al decesso dell’appellante, si sono costituite in giudizio, nella qualità di sue eredi, le signore -OMISSIS- e -OMISSIS-, al fine di proseguire il giudizio ex artt. 300 e 302 c.p.c. e art. 80 c.p.a.

3.2. Si è costituita in giudizio la Provincia di Verona per resistere.

3.3. Le parti costituite hanno quindi depositato ulteriori memorie difensive. In particolare, la Provincia di Verona si è opposta all’appello, chiedendone l’integrale rigetto, ed ha inoltre riproposto l’eccezione (non esaminata dal primo giudice) di inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa notifica ai controinteressati ritenuti dal ricorrente responsabili della contaminazione, ossia il Comune di -OMISSIS-, quale gestore del sito, ovvero la società -OMISSIS- s.r.l., in quanto conferitore dei rifiuti RSU.

3.2. Entrambe le parti hanno infine replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle proprie deduzioni.

4. All’udienza del 26 maggio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.

6. Ai fini di una migliore comprensione della controversia oggetto del presente giudizio, premesso che essa attiene alle vicende del terreno, di proprietà delle attuali appellanti, denominato “vigneto -OMISSIS-”, adiacente alla discarica denominata “-OMISSIS-”o “-OMISSIS-”, in fatto si precisa quanto segue:

i) la gestione della discarica -OMISSIS- veniva interessata da un procedimento penale, nell’ambito del quale:

– la Procura effettuava una perizia tecnica, redatta nel marzo 2007, avente ad oggetto la discarica, da cui risultava che l’inquinamento riscontrato nel piezometro M7 della rete di monitoraggio era conseguenza della passata gestione della discarica, non essendo stati riscontrati collegamenti con il vigneto -OMISSIS- (peraltro posto a valle del M7); ad ogni modo, nel sottosuolo di tale vigneto veniva rilevata la presenza di materiale alloctono;

– nell’agosto del 2006 veniva disposto il sequestro della discarica, essendo stato rilevato l’inquinamento della falda, anche nelle zone limitrofe ad essa, quale quella corrispondente al M7;

ii) ai fini della messa in sicurezza e della bonifica della discarica -OMISSIS-, veniva presentato dalla società -OMISSIS- un primo piano di caratterizzazione in data 18 aprile 2008 ed un secondo piano di caratterizzazione dalla società -OMISSIS- Gestione Impianti in data 29 luglio 2009;

iii) con riferimento al “vigneto -OMISSIS-”, in ragione delle verifiche effettuate dall’Arpav e confermate dal Settore Ecologia della Provincia di Verona, il Comune di -OMISSIS- sin dal 2007 chiedeva al signor -OMISSIS- di mettere in sicurezza l’area e di redigere un piano di caratterizzazione; in seguito, in data 10 marzo 2008 il Comune adottava l’ordinanza n. 41/2008, con cui diffidava il signor -OMISSIS- a realizzare immediatamente le misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza e a trasmettere il piano di caratterizzazione ai sensi dell’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006;

iv) come sottolineato, tale ordinanza veniva impugnata dinanzi al Ta.r. Veneto con il ricorso r.g. n. -OMISSIS-, dichiarato infondato con la sentenza n. -OMISSIS-;

v) in seguito, il Comune, con delibera di Giunta n. 67 del 26 marzo 2008, adottava il proprio intervento sostitutivo ai sensi dell’art. 250 del d.lgs. n. 152/2006 e, con determina n. 226 del 18 aprile 2008, conferiva alla società -OMISSIS- l’incarico di redigere il piano di caratterizzazione dell’area denominata “Vigneto -OMISSIS-”; infine, essendo emersa la necessità di una rilevante integrazione al piano di caratterizzazione predisposto dalla -OMISSIS-, il Comune, in data 10 luglio 2008, notificava al sig. -OMISSIS- l’ordinanza n. 134/2008, diffidandolo a predisporre detta integrazione;

vi) a seguito di ulteriori indagini di Arpav (nota del 22 maggio 2009) da cui emergeva il superamento nel vigneto -OMISSIS- – sia nella falda principale che nella falda sospesa di nuova individuazione – delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui all’allegato n. 5 alla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006, la Provincia di Verona, con la determina provinciale n. 4442/09 del 10 agosto 2009, diffidava il sig. -OMISSIS-“…a provvedere a dar corso agli interventi di messa in sicurezza e bonifica del sito …”, con richiamo espresso delle precedenti diffide comunali;

vii) con nota n. 49/2009/sc/BF del 4 agosto 2009 la società -OMISSIS- s.p.a., gestore della limitrofa discarica, presentava di propria iniziativa un piano di caratterizzazione dell’area del “Vigneto -OMISSIS-”;

viii) il citato provvedimento provinciale veniva in seguito impugnato dal sig. -OMISSIS- dinanzi al T.a.r. Veneto con ricorso r.g. n. -OMISSIS-, respinto con la sentenza n. -OMISSIS- impugnata con il presente giudizio d’appello;

ix) il Comune di -OMISSIS-, con la delibera di Giunta n. 79 del 31 maggio 2011, in base all’accordo fra Regione, Comune e Provincia, presentava un progetto che contemplava sia la messa in sicurezza della discarica che la bonifica dell’adiacente vigneto -OMISSIS-; il progetto, nel corso dei successivi anni, riceveva varie integrazioni progettuali e modifiche, tra cui la scelta di disgiungere gli interventi relativi al “vigneto -OMISSIS-” da quelli della discarica di -OMISSIS-;

x) questa ulteriore vicenda era oggetto di ulteriore giudizio instaurato dal sig. -OMISSIS- avanti al T.a.r. Veneto (r.g. n. -OMISSIS-), conclusosi con la sentenza n. -OMISSIS-, con cui veniva dichiarata l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse;

xi) con determinazione del Comune di -OMISSIS- n. 193 del 5 marzo 2021, è stato infine approvato il progetto definitivo di messa in sicurezza della discarica di -OMISSIS-.

7. Ciò premesso in punto di fatto, il Collegio rileva l’infondatezza di entrambe le censure articolate nel presente grado di giudizio dalle appellanti, che – in quanto strettamente connesse e in parte coincidenti – possono essere trattate unitariamente.

7.1. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito, in più occasioni, che la condanna del proprietario del suolo agli adempimenti di cui all’art. 192, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, necessita di un serio accertamento della sua responsabilità da effettuarsi in contraddittorio, ancorché fondato su presunzioni e nei limiti della esigibilità qualora la condotta sia imputata a colpa, pena la configurazione di una responsabilità da posizione in chiaro contrasto con l’indicazione legislativa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2021, n. 3102; sez. V, 28 maggio 2019, n. 3518; sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3430; IV, 12 aprile 2018, n. 2195; sez IV, 25 luglio 2017, n. 3672; sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; sez. IV, 1 aprile 2016, n. 1301).

Si è aggiunto, altresì, che la responsabilità solidale del proprietario può essere imputabile a colpa per negligenza, consistente nell’omissione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficace custodia e protezione dell’area e, segnatamente, per impedire che su di essa possano essere depositati rifiuti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2019, n. 3518; sez. III, 1 dicembre 2017, n. 5632).

Del resto, in tema di inquinamento, il proprietario del terreno risponde della bonifica effettuata sul suolo di sua proprietà – nel senso che anch’egli è tenuto ad effettuarla – solidalmente con colui che ha concretamente determinato il danno, pur se affittuario, a titolo di dolo, qualora abbia celato i rifiuti, o di colpa, nell’ipotesi in cui non abbia approntato l’adozione delle cautele volte a custodire adeguatamente la proprietà, ovvero non denunciando, dopo esserne venuto a conoscenza, il fatto alle autorità (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 2021, n. 780). ). In definitiva, per la posizione di garanzia rivestita dal proprietario, è configurabile, anche a titolo di concorso, un illecito omissivo per violazione del dovere di impedire fatti idonei a ledere il bene protetto.

7.2. Dall’esame della documentazione agli atti e degli impugnati provvedimenti risulta che il Comune di -OMISSIS- e la Provincia di Verona hanno compiutamente svolto l’attività di accertamento della responsabilità del sig. -OMISSIS- per l’inquinamento del sito “Vigneto -OMISSIS-” e, in particolare, della falda sospesa, individuata ad una quota compresa tra 16,40 m e 17,46 m dal piano campagna. 

7.3. A tale riguardo, il Collegio rileva che l’accertamento dell’inquinamento del terreno denominato “vigneto -OMISSIS-” si è avuto principalmente in virtù degli esiti dell’indagine ARPAV di cui alla nota del 22 maggio 2009, con cui veniva riscontrato il superamento della soglia di CSC sia nella falda principale che in quella sospesa e si affermava che l’inquinamento di quest’ultima derivava dal passato utilizzo del vigneto. Del resto, già il perito incaricato dalla Procura nella relazione del marzo 2007, sebbene avesse escluso collegamenti dell’inquinamento riscontrato al piezometro M7 con il vigneto -OMISSIS-, aveva riscontrato nel sottosuolo di tale terreno la presenza di materiale alloctono.

La conferma di tale situazione, infine, si otteneva con il piano di caratterizzazione dell’area del vigneto -OMISSIS- presentato spontaneamente in data 4 agosto 2009 dalla società -OMISSIS-, quale gestore della vicina discarica.

7.4. In ordine all’individuazione delle cause dell’inquinamento del vigneto -OMISSIS-, dall’istruttoria effettuata dall’Amministrazione, risulta che le cave (ormai esaurite) della ditta -OMISSIS- ivi presenti furono utilizzate, nel periodo intercorrente tra gli anni ‘70 e l’anno 1982, per lo scarico di rifiuti di industrie marmifere e di RSU del Comune, in assenza di un’autorizzazione alla discarica. È stata pertanto accertata la sussistenza del nesso causale tra l’attività svolta, ovvero consentita, dal signor -OMISSIS- sull’area in questione, nel periodo tra la fine dell’attività estrattiva e la conversione del sito a vigneto, e la riscontrata contaminazione della falda superficiale.

7.5. In questo senso depongono una serie di elementi, che non trovano smentita nei documenti citati dalla parte appellante, atteso che:

a) con la nota prot. n. 11786 dell’8 agosto 2013 redatta dal Commissario Prefettizio:

– si è attestato che l’area denominata “vigneto -OMISSIS-” era stata oggetto, nel periodo indicato, di conferimenti di rifiuti solidi urbani e di rifiuti di industrie marmifere sulla base di rapporti intercorsi fra le ditte che gestivano tali tipi di rifiuti ed il proprietario dell’area;

– si è dato atto che i contratti tra il Comune di -OMISSIS- e la società -OMISSIS- regolamentavano esclusivamente il servizio di raccolta, senza fornire alcuna indicazione sul sito nel quale depositare i rifiuti, sostanzialmente rimettendo tale decisione alla ditta erogatrice del servizio e al proprietario dell’area; 

– si è osservato che l’Amministrazione, in relazione allo smaltimento dei fanghi di marmo, sebbene fosse a conoscenza di tale attività, ne risultava del tutto estranea;

b) con tale nota veniva altresì chiarito il contenuto della precedente nota del Commissario prefettizio del 5 luglio 2013, assunta sulla base della relazione tecnica del responsabile dell’Area ecologia ed ambiente, a sua volta basata sull’esame della documentazione prodotta dallo stesso sig. -OMISSIS-, sulle ricerche documentali di archivio e sull’esito delle conferenze di servizi a cui aveva partecipato lo stesso appellante, tramite il proprio legale; ebbene, da tale documentazione emerge chiaramente che il conferimento dei rifiuti nel sito del “vigneto -OMISSIS-” era stato effettuato a fronte di trattative intercorse direttamente con il proprietario;

c) del resto, la conferma di ciò si ha nelle affermazioni rese dallo stesso sig. -OMISSIS- con l’intervento nella riunione di Giunta del 5 luglio 2013, in cui precisava unicamente che tale scarico era stato effettuato su richiesta del Sindaco e di rappresentanti della Provincia;

d) per converso, non vi è alcuna dimostrazione della gestione del sito da parte del Comune, risultando invece, dalla delibera del Consiglio comunale n. 102 del 15 dicembre 1973, l’esistenza di trattative tra un’associazione di marmisti veronesi e la ditta -OMISSIS- “per ottenere la concessione di scarico di rifiuti e scarti di lavorazione delle industrie del marmo nelle cave di sua proprietà”;

e) d’altro canto, le dichiarazioni menzionate dall’appellante e l’istanza del 28 gennaio 1983 del Comune sono state oggetto dell’istruttoria svolta dall’Amministrazione provinciale, che a tal fine coinvolgeva lo stesso Comune di -OMISSIS-; del resto, come visto, il Commissario prefettizio, con la delibera n. 4 del 5 luglio 2013, aveva anch’egli analizzato tutta la documentazione rilevante, tra cui tali dichiarazioni, le risultanze della conferenza di servizi del 25 marzo 2013 e la relazione istruttoria del responsabile del servizio del 27 giugno 2013.

7.6. In senso contrario non rilevano le risultanze della citata perizia svolta su incarico della Procura, atteso che la falda sospesa del terreno del “vigneto -OMISSIS-”, oggetto del procedimento in esame, si distingue nettamente dalla falda freatica principale, in relazione alla quale veniva esclusa la riconducibilità del relativo inquinamento al detto terreno, essendo stata invece identificata la vicina discarica quale autonoma sorgente dell’inquinamento.

8. In conclusione, il Collegio ritiene condivisibili le affermazioni del primo giudice in ordine al riconoscimento di una responsabilità – quanto meno, come sottolineato, omissiva – del signor -OMISSIS- per l’inquinamento della falda sospesa del vigneto, come conseguenza della passata gestione di esso in esecuzione degli accordi per lo scarico di rifiuti di industrie marmifere e di RSU. Del resto, ferma la conoscenza di tali attività da parte del Comune, non si è avuta alcuna dimostrazione della presunta gestione comunale di tali sversamenti, così come gli accertamenti effettuati in merito all’inquinamento della falda freatica principale, riconducibile alla gestione della vicina discarica -OMISSIS-, non sono estensibili al diverso e autonomo inquinamento della falda sospesa, oggetto del procedimento in esame.

Sulla base della costante giurisprudenza in materia, innanzi citata, sussistono quindi tutti gli elementi per affermare la responsabilità del proprietario del fondo inquinato.

9. L’appello deve pertanto essere respinto, con conseguente conferma della gravata pronuncia.

10. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello r.g. n. 7355/2016, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le appellanti in solido tra loro al pagamento, in favore della Provincia di Verona, delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2022, con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere, Estensore

Nicola D’Angelo, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

L’estensore, Alessandro Verrico

Il presidente, Vincenzo Lopilato

Linee Guida SNPA sui controlli delle installazioni AIA di competenza regionale

Pubblicate sul sito del SNPA le Linee guida n. 39/2022 che hanno lo scopo di supportare gli ispettori nell’ambito delle attività di controllo svolte presso installazioni AIA regionali.

Scopo delle Linee Guida è quello fornire una base comune per gli ispettori ARPA, al fine di garantire omogeneità dei criteri di controllo delle installazioni AIA.

LINEE GUIDA SNPA N. 39/2022 – CONTROLLI SU INSTALLAZIONI AIA DI COMPETENZA REGIONALE

Pubblicato sul sito del SNPA il “Manuale Operativo per la gestione delle emergenze ambientali” (Linee Guida SNPA n. 36/2021).

Il documento è un Manuale operativo per gli interventi in emergenza del personale SNPA sulle tipologie di evento statisticamente più comuni e ambientalmente rilevanti, in cui sono approfonditi gli aspetti strettamente connessi all’operatività e forniti i riferimenti per la gestione di tutte le fasi dell’emergenza, compreso il post emergenza.

le Linee-guida mirano a definire modalità di intervento comuni a livello di SNPA, allo scopo di adottare un approccio omogeneo sull’intero territorio nazionale, sia in termini di capacità tecnico-operative, sia in termini di ’efficacia dell’azione di risposta alle emergenze ambientali, garantendo il supporto tecnico-scientifico alle strutture di soccorso e ai soggetti titolati ad adottare provvedimenti di protezione civile

Gli scenari emergenziali considerati si riferiscono alla contaminazione di corpi idrici superficiali, allo sversamento su suolo di sostanze inquinanti, agli incidenti durante il trasporto, alla fuoriuscita di sostanze pericolose in atmosfera, al rilascio in mare di prodotti petroliferi e di sostanze chimiche.

Sono stati inoltre individuati degli scenari specifici del rischio nucleare/radiologico, per i quali sono state definite le attività che il personale del Gruppo di Supporto Specialistico di radioprotezione delle Agenzie deve eseguire, quando riceve segnalazioni di eventi che potrebbero coinvolgere sorgenti radioattive.

Scarica il testo da quì: LINEE-GUIDA SNPA n. 36/2021

La Corte di Giustizia Europea torna a pronunciarsi sui rifiuti urbani sottoposti a trattamento meccanico (CGE 11 novembre 2021 – causa C-315/2020

  1. La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza dell’11 novembre 2021 (causa C-315/20) Regione Veneto contro Plan Eco Srl, è tornata a pronunciarsi sul tema dei rifiuti urbani non differenziati sottoposti a un trattamento meccanico che non ne altera la natura.
  2. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti e della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti nell’ambito di una controversia tra la Regione Veneto (Italia) e la Plan Eco Srl, in merito ad una spedizione di rifiuti tra Stati membri.

Alla Corte veniva richiesto di esprimersi sulle seguenti questioni pregiudiziali:

«Dica la Corte di giustizia se in riferimento ad una fattispecie in cui rifiuti urbani indifferenziati, non contenenti rifiuti pericolosi, siano stati trattati meccanicamente da un impianto ai fini del recupero energetico (operazione R1/R12, ai sensi dell’allegato C) del [decreto legislativo n. 152/2006]) e, all’esito di tale operazione di trattamento, risulti, in tesi, che il trattamento non abbia sostanzialmente alterato le proprietà originarie del rifiuto urbano indifferenziato, ma agli stessi venga assegnata la classificazione CER 19.12.12., non contestata dalle parti

ai fini del giudizio in ordine alla legittimità delle obiezioni, da parte del Paese di origine, alla richiesta di autorizzazione preventiva alla spedizione in un Paese europeo presso un impianto produttivo per l’utilizzo, in co-combustione o, comunque, come mezzo per produrre energia, del rifiuto trattato, sollevate dall’Autorità preposta nel Paese di origine sulla base dei principi della direttiva 2008/98/CE, ed in particolare di obiezioni quali quelle, nella fattispecie, basate: sul principio della protezione della salute umana e dell’ambiente (articolo 13) [della direttiva 2008/98]; sul principio di autosufficienza e prossimità, stabilito dall’[articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/98]; sul principio, stabilito dallo stesso [articolo 16, paragrafo 2], ultimo periodo (…); sul considerando [33 della direttiva 2008/98]:

[1)] l [CER] (nella fattispecie [la voce] 19 12 12 [di tale catalogo], rifiuti prodotti da impianti di trattamento meccanico per operazioni di recupero R1/R12) e le relative classificazioni interferiscano o meno ed, in caso di risposta positiva, in quali termini e confini, con la disciplina [di diritto dell’Unione] relativa alla spedizione di rifiuti che, prima del trattamento meccanico, erano rifiuti urbani indifferenziati;

[2)] in particolare, se, con riferimento alle spedizioni di rifiuti risultanti dal trattamento di rifiuti urbani indifferenziati, le previsioni dell’articolo 16 della direttiva 2008/98 ed il relativo considerando 33, espressamente concernenti la spedizione di rifiuti, siano o meno prevalenti rispetto alla classificazione risultante dal [CER]nsiderando 33, espressamente concernenti la spedizione di rifiuti, siano o meno prevalenti rispetto alla classificazione risultante dal [CER];

[3)]precisando, qualora ritenuto opportuno e utile dalla Corte, se il suddetto Catalogo abbia carattere normativo o costituisca, invece, una mera certificazione tecnica idonea alla omogenea tracciabilità di tutti i rifiuti».

La CGE ha preliminarmente precisato che l’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento n. 1013/2006 dispone che le spedizioni di «rifiuti urbani non differenziati (voce 20 03 01) provenienti dalla raccolta domestica, inclusi i casi in cui tale raccolta comprende anche rifiuti provenienti da altri produttori, destinati a impianti di recupero o smaltimento» sono soggette, a norma di tale regolamento, alle stesse disposizioni previste per le spedizioni di rifiuti destinati allo smaltimento.

Di conseguenza, l’articolo 11 del regolamento n. 1013/2006 è applicabile anche in ipotesi di notifica concernente una spedizione prevista di rifiuti urbani non differenziati destinati al recupero, sebbene tale disposizione si applichi, in linea di principio, conformemente al suo titolo e al suo tenore letterale, soltanto ai rifiuti destinati allo smaltimento (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2013, Ragn-Sells, C-292/12, EU:C:2013:820, punti 53 e 54).

Inoltre, le autorità competenti di destinazione o di spedizione possono, a norma dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera i), di detto regolamento, opporsi a tale spedizione per il solo motivo che si tratta di «rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica (voce 20 03 01)».

Ne deriva che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 5, e all’articolo 11, paragrafo 1, lettera i), del regolamento n. 1013/2006, e al fine di garantire il rispetto dei principi di autosufficienza e di prossimità sanciti all’articolo 16 della direttiva 2008/98 e attuati dalle disposizioni succitate del regolamento n. 1013/2006, principi invocati, nel procedimento principale, dall’autorità competente di spedizione, quest’ultima può opporsi a una spedizione di rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica destinati al recupero o allo smaltimento.

In secondo luogo, rileva ancora la Corte che, conformemente al considerando 33 della direttiva 2008/98, ai fini dell’applicazione del regolamento n. 1013/2006, i rifiuti urbani non differenziati di cui all’articolo 3, paragrafo 5, dello stesso rimangono rifiuti urbani non differenziati anche quando sono stati oggetto di un’operazione di trattamento dei rifiuti che non ne abbia sostanzialmente alterato le proprietà.

Nel caso di specie, l’articolo 3, paragrafo 5, e l’articolo 11, paragrafo 1, lettera i), del regolamento n. 1013/2006, interpretati alla luce del considerando 33 della direttiva 2008/98, implicano che rifiuti urbani non differenziati che siano stati classificati alla voce 19 12 12 del CER a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, trattamento che non ha tuttavia sostanzialmente alterato le proprietà iniziali di tali rifiuti, devono essere considerati come rientranti tra i rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, previsti da tali disposizioni, nonostante il fatto che queste ultime menzionino il codice 20 03 01 del CER.

Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 56 delle sue conclusioni, il regime giuridico applicabile alle spedizioni di rifiuti dipende dalla natura sostanziale di questi ultimi e non dalla loro classificazione formale in conformità al CER.

la Corte dichiara pertanto che l’articolo 3, paragrafo 5, e l’articolo 11 del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti, devono essere interpretati nel senso che, tenuto conto dei principi di autosufficienza e di prossimità, l’autorità competente di spedizione può, basandosi in particolare sul motivo previsto all’articolo 11, paragrafo 1, lettera i), del medesimo regolamento, opporsi a una spedizione di rifiuti urbani non differenziati che, a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, il quale non ha tuttavia sostanzialmente alterato le loro proprietà originarie, sono stati classificati sotto la voce 19 12 12 dell’elenco dei rifiuti contenuto in allegato alla decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi, come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, del 18 dicembre 2014

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